Cosa si intende per contenuto premium
Un contenuto premium è una pagina o una tipologia di pagine con la quale un editore vuole monetizzare facendo pagare all’utente un abbonamento o un canone per poter fruire di queste informazioni.
La monetizzazione del pubblico è una questione strategica per ogni editore online. La pubblicità può essere ancora il principale flusso di entrate per molte pubblicazioni, ma oggi siamo in un contesto in cui:
- Le funzionalità di blocco degli annunci sono integrate nei principali browser. Secondo eMarketer, il 25% degli utenti di Internet negli Stati Uniti utilizza strumenti di blocco degli annunci. Quel numero raggiunge il 32% in Germania.
- Le entrate pubblicitarie stanno diminuendo a causa della concorrenza di colossi come Google o Facebook, che controllano il 38% e il 22% del mercato pubblicitario online.
- L’efficacia dell’annuncio è ridotta dalla saturazione degli annunci online.
Questa situazione sta alimentando la tendenza per gli editori di implementare il così detto paywall, ovvero un sistema che richiede agli utenti di iscriversi per accedere al contenuto. L’idea è di compensare la perdita di entrate pubblicitarie in stampa e digitale con entrate degli abbonati. Questa strategia è spesso caratterizzata come più sostenibile a lungo termine.
Gli editori in tutto il mondo stanno quindi adottando sempre più l’approccio del contenuto paywall come strategia di monetizzazione. Il contenuto a pagamento ha aiutato i publisher a generare più entrate online e questo è un dato di fatto. Tuttavia, l’esperienza dell’utente in certi casi è negativa e se non gestita nel modo corretto un abuso errato del paywall potrebbe ripercuotersi sulla visibilità organica del sito web e penalizzare la SEO, più avanti nell’articolo capirai cosa intendo.
Il pagamento dei contenuti può sembrare un metodo arcano su Internet, ma non è certo una novità. I giornali prosperavano con piani di abbonamento. E i numeri elevati di abbonamenti erano e sono il KPI con cui i publisher giustificano le tariffe dei loro annunci.
Internet ha democratizzato l’accesso alla conoscenza, e si potrebbe pensare che oggi quasi nessuno pagherebbe per i contenuti. Questo aspetto sta cambiando, almeno per gli editori che offrono contenuti unici e di alta qualità. L’adozione della strategia di abbonamento ai contenuti è in costante aumento. Ed è approvato dai decisori nei principali media. Tuttavia, sia dal punto di vista SEO che dal punto di vista dell’esperienza dell’utente, i paywall possono creare potenziali problemi.
Le criticità SEO dei contenuti premium
Quando un editore sceglie di passare al modello paywall deve considerare diversi aspetti e diverse modalità di implementazioni che vedremo tra qualche paragrafo. L’aspetto più critico è cercare di ridurre alti tassi di bounce rate per evitare che Google declassi il sito a causa di cattivi segnali di usabilità forniti dalla navigazione utente.
In altre parole, se tutti i contenuti del portale sono premium e non è possibile per l’utente leggere nulla se non abbonandosi, molti utenti faranno dietrofront (visita bounce, con rimbalzo) mostrando a Google chiari segnali di mancato apprezzamento del sito web. Questi segnali alla lunga vanno a colpire negativamente la SEO, e di questi aspetti ne avevo già parlato in questa guida sui segnali impliciti di ranking.
È quindi importante, per tutti gli editori che vogliono monetizzare con i loro contenuti, capire quale metodologia di paywall utilizzare e quali aspetti tecnici non devono essere trascurati dal punti di vista SEO.
In passato si usava il First Click Free
Il problema più grande per i proprietari di contenuti premium è come essere visibili nella ricerca se il loro contenuto non è liberamente disponibile per tutti gli utenti.
Per mitigarlo, Google nel 2008 aveva introdotto una linea guida chiamata First Click Free (FCF). Ciò significava che oltre ai loro contenuti premium, gli editori dovevano fornire alcuni contenuti gratuiti a cui gli utenti potevano accedere tramite la ricerca di Google.
First Click Free era una metodologia suggerita da Google che consentiva ai bot di Google di eseguire la scansione e l’indicizzazione dei contenuti premium su siti di sottoscrizione o di sola registrazione. Il metodo FCF consentiva quindi a Google di ottenere l’accesso a contenuti dietro a form di registrazione in modo da poter mostrare in SERP queste pagine per ricerche pertinenti.
I crawler dei motori di ricerca, che passano sistematicamente sui siti web per indicizzare (o aggiornare) il loro contenuto, non tentano automaticamente di compilare form e moduli per accedere al contenuto premium. Poiché una pagina premium non è di fatto leggibile dai bot, First Click Free era un metodo per consentire la ricerca, l’indicizzazione e la visualizzazione dei contenuti premium nei risultati di ricerca.
Gli editori non erano i più grandi fan di questo modello ed è stato infatti interrotto nel 2017 a favore di uno nuovo, chiamato Flexible Sampling (campionamento flessibile) per i contenuti paywall.
Fondamentalmente, il nuovo modello offre agli editori più libertà di manovra nel decidere la quantità dei loro contenuti che vogliono fornire gratuitamente agli utenti e come vogliono fornirli.
Linee guida SEO di Google per i contenuti a pagamento
Per un editore avere una parte o la maggior parte dei contenuti dietro un paywall può avere un impatto negativo sulla presenza nella ricerca organica se non è implementata correttamente. Un’implementazione del paywall che non tiene conto della SEO può implicare che Google e altri robot non siano in grado di accedere, scansionare e indicizzare i tuoi contenuti, rendendolo invisibile per i motori di ricerca.
Google offre alcune linee guida per gli editori che desiderano implementare il metodo paywal per monetizzare i loro contenuti. In particolare, Google richiede di offrire agli utenti una sorta di campionamento gratuito (Flexible sampling, accennato prima) dei contenuti e di permettere il pieno accesso al contenuto a Googlebot. Ciò avvantaggia Google, in quanto sarà in grado di offrire contenuti di qualità agli utenti del motore di ricerca. Ma questo sistema è anche vantaggioso per gli editori poiché il campionamento rende più probabile che un lettore si iscriva se è in grado di apprendere il valore del contenuto che otterrà dall’abbonamento.
Flexible sampling e le diverse tipologie di Paywall
Esistono tre tipi principali di flexible sampling per i contenuti paywalls:
- Hard Paywall (lead in): il lettore è in grado di vedere solo il titolo e uno o due paragrafi del contenuto. Il resto della pagina viene bloccata e al lettore viene richiesto di iscriversi. Questo è l’approccio oggi adottato, ad esempio, dal Financial Times ed è un compromesso che consente all’utente di valutare la qualità del contenuto senza distribuirlo interamente. Anche se questa opzione è conforme alle linee guida di Google, può essere un’esperienza utente frustrante per i siti di notizie, che comporterebbe una frequenza di rimbalzo più elevata. Questo comportamento dell’utente può influire negativamente sul ranking nella ricerca per l’editore e di conseguenza Google può scegliere di presentare all’utente in SERP altri siti web che potrebbero essere più utili all’utente finale.
- Metered Paywall (con contatore): il lettore può accedere gratuitamente ad un numero limitato di articoli prima di essere invitato a iscriversi. L’editore deve determinare quanti articoli un utente può leggere prima di dover sottoscrivere l’abbonamento. Questo tipo di paywall offre il vantaggio di focalizzare le opportunità di conversione sugli utenti più coinvolti, quelli che accedono frequentemente al sito del publisher. Il New York Times, ad esempio, oggi ha un paywall dinamico che regola il numero di articoli gratuiti lettore per lettore. Questa strategia di prezzo flessibile li ha aiutati ad aumentare sostanzialmente i loro tassi di conversione. Agli utenti possono quindi essere mostrati numerosi articoli gratuitamente ogni mese prima che venga loro richiesto di iscriversi. Google consiglia 10 articoli per utente al mese, ma i publisher devono sperimentare, testare e verificare per vedere qual è il numero ottimale di campioni gratuiti con il tasso di conversione più elevato.
- Modello di contenuto Freemium o reverse paywall: in questo caso, esiste una forte separazione tra contenuto gratuito e contenuto in abbonamento. Questo modello viene utilizzato principalmente da editori più piccoli o di nicchia che bilanciano i contenuti gratuiti per la visibilità con un abbonamento per contenuti molto approfonditi o esclusivi per generare entrate monetarie. L’accesso ai contenuti premium può essere gestito attraverso un hard paywall o metered paywall.
Decidere quale approccio adottare dipende dalla strategia di pubblicazione di ciascun editore e dal tipo di contenuto che vuole proteggere dietro un paywall. Il metered paywall funziona meglio per le pubblicazioni di notizie. Gli utenti occasionali saranno in grado di accedere ai contenuti ed essere esposti agli annunci e ad altre opzioni di monetizzazione, come gli ads ad esempio. I lettori più frequenti potranno farsi una buona idea della qualità dei contenuti prima di essere invitati a iscriversi. L’hard paywall è più spesso utilizzato da siti con contenuti premium e sempreverdi come portali dedicati a ricerche specializzate, video o statistiche.
Secondo una ricerca del 2019 del Reuters Institute for the Study of Journalism, la maggior parte delle pubblicazioni analizzate utilizzava un metered paywall o un modello di contenuto freemium, scoprendo che gli hard paywall erano “estremamente rari”. Lo studio del Reuters Institute ha analizzato 212 editori di notizie online negli Stati Uniti e nell’Unione Europea e ha scoperto che solo il 27% dei maggiori editori regionali negli Stati Uniti e in Europa ha offerto i propri contenuti gratuitamente, rispetto al 36% nel 2017.
Complessivamente, il 48% delle agenzie di stampa statunitensi ha adottato un paywall. Nell’Unione europea, la percentuale è simile. Il 46% degli editori di notizie nell’UE ha implementato un modello di abbonamento digitale.
Quando si guarda specificamente ai giornali i numeri sono ancora più alti. Nel 2016, il 78% dei quotidiani statunitensi con tirature superiori a 50.000 aveva implementato un paywall. La maggior parte di essi è stata implementata dal 2011.
In America Latina, i principali quotidiani in Messico, Argentina o Brasile hanno implementato un paywall, anche se solo il 12% delle entrate delle società di media nella regione proviene da fonti digitali.
In Italia come va? Come al solito qui siamo in alto mare, la maggior parte degli editori più noti non usa alcuna forma di paywall (e GaC direi io, finché sono mantenuti dalle sovvenzioni statali che pagano i cittadini…).
Qualche anno fa, quando Repubblica, Corriere e Il Sole 24 Ore lanciavano timidamente i loro paywall Stefano Quintarelli, presidente del Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia digital, tracciava un quadro pessimistico: “Da noi spesso il gioco può non valere la candela”, spiegava a Lettera 43. “Passando a sistemi come il paywall rischi di limitare gli utenti che oggi ti seguono perché possono farlo gratis altrove, e perché sono poco sensibili alla differenza tra il giornalismo di qualità e quello popolare”. Probabilmente, dico io, perché l’utente non riconosce in buona parte del giornalismo italiano questa grande qualità… Due anni dopo, un rapporto pubblicato da Pay For News, realizzato da Associated Press e American Press Institute, rivelava che se 54 per cento degli statunitensi possedeva un abbonamento online a un quotidiano; in Italia, la percentuale scendeva al 4 per cento, ultima tra i grandi Paesi europei. O’RLY?
Paywall e dati strutturati
Il codice HTML sul sito del publisher deve identificare i contenuti protetti da un paywall utilizzando i dati strutturati. Altrimenti, il sito rischia di essere penalizzato per l’utilizzo di una tecnica SEO black hat chiamata cloaking. Il cloaking è la pratica di presentare contenuti diversi ai robot dei motori di ricerca e agli utenti. Se Googlebot è in grado di eseguire la scansione e l’indicizzazione dell’articolo, ma l’utente trova il paywall e viene invece presentata una richiesta di abbonamento, potrebbe essere interpretata da Google come tecnica di cloaking. L’uso dei dati strutturati per identificare il contenuto dell’abbonamento evita questo rischio.
Per utilizzare dati strutturati, Google consiglia di utilizzare lo schema NewsArticle. L’editore deve contrassegnare ogni sezione della pagina protetta da un paywall aggiungendo una classe CSS a sua scelta a ciascun elemento HTML che desidera proteggere. È necessario un codice aggiuntivo per comunicare a Google che i contenuti all’interno di quella classe CSS sono accessibili solo con un abbonamento. Il selettore CSS usato per definire il contenuto premium deve essere espresso nel dato strutturato nella voce cssSelector che trovi nell’esempio qui sotto. È importante notare che le sezioni di contenuto non possono essere nidificate.
Si consiglia inoltre di utilizzare il meta tag noarchive. Ciò impedirebbe agli utenti di accedere alla versione completa dell’articolo tramite la cache di Google. Mai sottovalutare i furbi ;)
Vediamo un esempio di dato strutturato per contenuto paywall:
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Cosa pensano gli utenti del paywall?
Un sondaggio online del 2015 di Statista.com ha rilevato che il 75% degli intervistati ha trovato frustrante trovare un paywall quando accede ad un articolo di notizie online. Questa statistica non sorprende affatto. L’aspettativa dell’utente è di poter accedere alle informazioni gratuitamente. Trovare il contenuto in grado di rispondere alla loro domanda o alle loro esigenze informative dietro un paywall è comprensibilmente frustrante. Questo almeno era l’idea nel 2015.
Più recentemente un altro sondaggio di Meclabs ha rilevato che il 41% dei lettori statunitensi è disposto ad acquistare un abbonamento digitale se fosse in grado di accedere a contenuti esclusivi, come le notizie locali, che non si trovano altrove.
Come bilanciare contenuti gratuiti e premium
Quando un editore prende la decisione strategica di implementare un modello di abbonamento digitale, è necessario adottare misure per bilanciare diversi elementi che entrano in gioco:
- Rilevamento del contenuto: gli utenti devono poter accedere a parti del contenuto o un numero limitato di articoli per poter valutare la qualità del contenuto prima di essere invitati a prendere una decisione di acquisto. I motori di ricerca svolgono un ruolo importante nella scoperta dei contenuti e sarebbe intelligente elaborare una strategia specifica per affrontare questo segmento di visitatori.
- Esperienza dell’utente: incontrare un paywall è sempre un’esperienza frustrante per l’utente. Gli editori possono gestire tale frustrazione segnalando chiaramente all’utente a quanti articoli possono accedere in un determinato periodo di tempo, quanti ne hanno già visitati e quali azioni possono intraprendere per accedere a più contenuti. A seconda del modello aziendale, è possibile aumentare i limiti di misurazione se l’utente è registrato anziché anonimo. L’esperienza dell’utente è sempre peggiore per i siti che utilizzano un hard paywall in cui il contenuto è bloccato in tutto o in parte, poiché i publisher hanno meno opzioni per gestire la frustrazione dell’utente.
- Conversione: sono necessari esperimenti e test costanti per scoprire qual è la giusta quantità di contenuti che un editore può offrire gratuitamente. Questo fa parte di ciò che viene chiamato ottimizzazione del tasso di conversione – CRO optimization. Per gli editori più grandi, con un pubblico considerevole, questo limite può essere diverso per ogni segmento di pubblico.
Il bilancio di questi tre elementi è, alla fine, una decisione strategica che sarà diversa per ogni editore. Un sito web potrebbe voler, ad esempio, aumentare il proprio pubblico globale e abbandonare il paywall completamente al di fuori del proprio paese o regione.
L’intento di ricerca dietro a ciascun contenuto paywall
Quando Google presenta all’utente una pagina dei risultati di ricerca, prende in considerazione l’intento di ricerca dietro le parole chiave utilizzate nella ricerca. Il posizionamento più elevato in SERP per una ricerca specifica dipende non molto dall’avere quelle parole chiave nei contenuti quanto invece all’adempiere l’intento del ricercatore quando usa quelle parole chiave.
Il contenuto protetto da un paywall tende a soddisfare un intento informativo. Se un editore utilizza un contenuto premium o un approccio con hard paywall, è probabilmente perché ha contenuti molto specifici o esclusivi che sarebbero difficili da trovare altrove. In questo caso, l’intento a cui rispondono è probabilmente una ricerca più approfondita rispetto alla sola informazione.
Prendi in considerazione l’intento di ricerca a cui è più probabile che risponda quando determini per quali parole chiave stai ottimizzando i tuoi contenuti. Ad esempio, la parola chiave “meteo Milano” restituisce una serie di pagine e siti web gratuiti che rispondono a pieno a questo intento. Sarebbe molto difficile competere per quella parola chiave con un articolo protetto dietro un paywall.
Consigli sui contenuti
Gli editori che implementano l’opzione hard paywall per mostrare contenuti parziali ai visitatori dei motori di ricerca devono prestare particolare attenzione ai contenuti che mostrano all’utente. L’obiettivo è gestire la delusione dell’utente nell’incontrare un paywall e fornire loro le informazioni necessarie per valutare se il contenuto soddisfa le loro esigenze.
Invece di mostrare all’utente semplicemente i primi paragrafi dell’articolo, l’approccio migliore è quello di creare un sommario riassuntivo. In questo modo l’utente avrà un quadro più completo delle informazioni contenute nell’articolo e sarà in grado di prendere una decisione di acquisto meglio informata se decide di iscriversi. L’editore dovrebbe spiegare il problema o il bisogno che il suo contenuto risolve nell’articolo completo. L’implementazione di dati strutturati in questo riepilogo esecutivo può aiutare questi contenuti a comparire in un rich snippet, aumentandone la visibilità nella pagina dei risultati di ricerca.
Per un vantaggio nel contenuto, la raccomandazione è di includere:
- Un titolo descrittivo che contiene la parola chiave principale trattata nell’articolo.
- Un breve paragrafo che riassume il contenuto dell’articolo, fornendo una descrizione accurata e gli argomenti principali del contenuto dell’articolo.
- Un breve elenco di fatti chiave, statistiche o domande a cui l’articolo ha risposto con una breve descrizione.
- Informazioni su cosa c’è dietro il paywall: un video, un pdf, una ricerca approfondita.
Questo approccio prende in considerazione le esigenze dell’utente. Il comportamento derivante da un’esperienza utente positiva supporterà altri segnali di classifica.
Conclusione
L’approccio a un paywall da una prospettiva SEO ha tre obiettivi principali:
Innanzitutto, assicurarsi che l’implementazione tecnica del paywall sia allineata alle raccomandazioni dei motori di ricerca in modo che il contenuto sia visibile completamente ai bot.
In secondo luogo, gestire le aspettative dell’utente quando arriva a contenuti che potrebbero essere protetti dal paywall. Prendere in considerazione l’intento di ricerca e creare una buona esperienza utente aiuterà a segnalare a Google che il contenuto è ancora utile e contribuirà a mantenere un buon posizionamento. Ciò è particolarmente importante quando si implementa l’hard paywall.
In terzo luogo, bilanciare questi requisiti con la necessità di ottimizzare il tasso di conversione per mantenere una crescita sostenibile nel flusso di entrate dell’abbonamento digitale.